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“La prigione delle favole sole” di Carmen Trigiante: recensione libro

Duro e delicato al tempo stesso, traboccante di riferimenti culturali che spaziano dalla letteratura, alla filosofia, alla psicologia, “La prigione della favole sole” di Carmen Trigiante è una vera chicca nel panorama della letteratura gialla contemporanea.

La trama

Maya Desìo, commissario ed esperta in grafologia, è segnata da un passato di violenze compiute da suo padre e altri uomini. La sua storia si intreccia con quella di Pompea Selvaggia Boccarosa, sul cui omicidio Maya dovrà indagare. Selvaggia, una regista accusata a sua volta di omicidio con evirazione, viene assassinata e bruciata, seguendo un copione che ricorda molto quello delle streghe giustiziate sul rogo.

Attraverso il diario di Selvaggia e le proprie doti investigative, Maya ricostruisce una storia in cui sono coinvolti uno psicanalista, imprenditori, registi, e un’intera rete in cui uomini di potere usano, umiliano e violentano le donne a proprio piacimento, fino a spingerle alla follia, al suicidio, e al crimine.

La caccia alle streghe

Centrale nel romanzo “La prigione delle favole sole” è il tema della caccia alle streghe, al quale è dedicata anche la postfazione dell’autrice. Le streghe, ovvero quelle donne che provano a ribellarsi alle imposizioni degli uomini e del patriarcato, vengono ancora bruciate, dice Trigiante, anche se non sempre letteralmente.

Per questo la storia di Selvaggia, anche se estrema e tragica, rappresenta metaforicamente la storia di ogni donna di ogni epoca. Una donna costretta a piegarsi al dominio maschile per ottenere qualche briciola di quel potere, per poter esistere in un mondo che la detesta, che la rende pazza per poi incolparla di questo, e che infine la schiaccia, distruggendo ciò che rimane di lei.

Lo stile di Carmen Trigiante è fluido, il ritmo è incalzante (il romanzo si divora in un paio di giorni, io non riuscivo a scollarmi dalle pagine), la scrittura è precisa e accattivante.

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